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domenica 4 ottobre 2009




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CONVEGNO SU ENFITEUSI Ragusa 5 dicembre 2009


Andrea Ciancico, notaio in Caltagirone:
"In Italia ed in particolare in qualche Regione, come la Sicilia, esigenze di miglioramento del territorio, unitamente alla presenza di proprietà immobiliari di tipo latifondistico hanno portato, nel corso dell’evoluzione storica antecedente l’unità d’Italia,  ad una notevole diffusione di rapporti di tipo agrario. Tutti sostanzialmente caratterizzati dalla concessione in godimento di un fondo rustico dal proprietario ad un soggetto che si impegnava a coltivarlo ed a migliorarlo pagando un canone. Tutti  tali rapporti con l’entrata in vigore del codice del 1865 prima e quello del 1942 poi, sono rientrati in una tendenza legislativa  volta all’accorpamento dei diversi istituti ed alla attribuzione ad essi di una disciplina unitaria rappresentata dall’istituto dell’ enfiteusi propria degli artt. 957 e ss. del c.c.(fra le altre legge n. 607/1966 e n. 1138/1970). Conseguenza fu che tutti questi rapporti agrari si andarono confondendo sempre più, fino a giungere ad una sostanziale identificazione  (cfr.Cariota-Ferrara).
Ai nostri giorni, a causa principalmente della svalutazione monetaria ma anche in forza di una legislazione che attribuiva sempre più incisivi poteri all’ enfiteuta (da qui la definizione del  Jannelli dell’enfiteuta quale quasi-proprietario), l’interesse del proprietario-concedente per la sorte dell’immobile si è affievolita al punto tale che l’enfiteuta ha iniziato ad  agire sempre più uti dominus, tanto da interrompere sia il pagamento del canone che la coltivazione del fondo ed in taluni casi costruendovi una propria casa di abitazione. In sostanza l’enfiteuta si è comportato sia nei confronti del concedente che nei confronti dei terzi in genere sempre più da proprieario pieno ed esclusivo. Nonostante detti istituti, che sulla base della legislazione citata possiamo far rientrare in quello dell’enfiteusi, siano caduti in forte disuso, può capitare di “imbattersi” in certificati catastali che indicano la presenza di un concedente o direttario e di un enfiteuta o livellario. Più raramente, può darsi che l’esistenza di detti rapporti risulti da qualche vecchio atto notarile o dalle visure ipotecarie.
In tali casi, occorre capire come debba comportarsi il Notaio chiamato a ricevere un atto di trasferimento di un immobile che presenta una delle menzioni testè citate.
A tal proposito, ove il Notaio si trovi  un titolo di provenienza dal quale si evinca l’esistenza di tali rapporti o diversamente vi risalga attraverso l’ispezione ipotecaria presso i Pubblici Registri, in tal caso detti vincoli saranno sicuramente opponibili all’acquirente.
Diverso è, invece, il caso in cui sia un certificato catastale ad indicare la presenza di tali rapporti. Difatti è notorio che detti certificati hanno solo ed esclusivamente valenza fiscale e non  hanno invece alcun valore probatorio dell’esistenza di diritti;  ciò per l’ovvia considerazione che non vi è alcuna certezza in  ordine alla correttezza della indicazione stessa (a proposito, fra le altre, Cassazione n.38044 del 6/10/2008).  Inoltre, l’esistenza dei rapporti agrari oggetto di disamina è tutta da dimostrare, in quanto diverse leggi speciali hanno sancito l’estinzione di tali diritti.
A tal proposito si citano le seguenti leggi: Legge n. 74 del 1958 e n. 3 del 1974, che ha stabilito che in tutti i livelli costituiti nelle Provincie Venete il diritto del livellario è automaticamente convertito in diritto di piena proprietà. Al riguardo è importante non la legge in sé che rigurda una ristretta area geografica, bensì la decisione presa da una sentenza della Corte Costituzionale (n. 46/1959), la quale chiamata a pronunciarsi sulla questione di legittimità costituzionale della legge n.74, in riferimento al principio di uguaglianza, ha dichiarato infondata la questione, basandosi sul fatto che nel Veneto la consistenza economica dei livelli era di notevole consistenza, contrariamente alle altre Regioni di Italia dove il peso economico dei livelli è esiguo ed essendo antieconomica la riscossione dei canoni stessi. In sostanza ciò che si chiedeva alla Corte era il perché questa legge fosse limitata alle Provincie Venete e non estesa a tutta l’Italia ed in proposito la Corte ha risposto che nel resto di Italia i livelli non avevano più motivo di esistere perché il loro canone era talmente esiguo che la richiesta dei pagamenti comportava delle spese maggiori rispetto all’ammontare dei canoni. Legge n. 16/1974 che dichiara estinti i rapporti perpetui reali e personali, costituiti anteriormente al 28/10/1941, in forza dei quali la Amministrazioni e le Aziende Autonome dello Stato hanno il diritto di riscuotere canoni enfiteutici, censi, livelli e altre prestazioni in denaro o in derrate, in misura inferiore a lire 1.000(art.1).  In questi casi gli Uffici Statali competenti, in realtà, avrebbero dovuto chiudere automaticamente le relative partite contabili dandone comunicazione agli Uffici interessati, ottenendo così anche l’aggiornamento della ditta catastale (art.2). ’ da sottolineare come le legge n. 16 sia stata abrogata dall’art.24 D.L. n. 112/2008 a far data dal 22/12/2008, tuttavia l’abrogazione della legge in oggetto non rileva per quanto qui interessa, posto che in base ai principi generali (art.11 preleggi), la legge abrogatrice opera solo per il futuro e la norma abrogata continua quindi a disciplinare i fatti verificatisi in precedenza.
Laddove non ricorrono i presupposti specifici della legge n. 16 si prospettano per l’enfiteuta altre possibilità.
La prima e più lineare è quella di ricorrere ad un atto di affrancazione ex art. 971 c.c. mediante il pagamento di una somma di denaro al concedente, la cui quantificazione è complicata da determinare a causa del succedersi delle diverse leggi di rivalutazione  ed il loro successivo annullamento da parte della Corte Costituzionale. Allo stato la norma di riferimento per la quantificazione del prezzo di affrancazione è l’art. 9 della Legge 1138/1970. Affrancazione che il più delle volte risulta di difficile praticabilità sia per l’oggettiva quantificazione del prezzo di affranco sia per la difficoltà da parte di concedente ed  enfiteuta di fornire la titolarità dei loro diritti attraverso una serie ininterrotta di trasferimenti. Il  ricorso al contratto di affrancazione risulta superfluo quando sussistono i presupposti perché l’enfiteuta-livellario abbia acquistato la piena proprietà per usucapione in conseguenza di qualche atto di interversione del possesso ex art. 1164 c.c. (tra le altre Cassazione n. 4231/1976). In sostanza l’enfiteuta non può usucapire la piena proprietà se il titolo del suo possesso non è mutato per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione da lui fatta contro il diritto del proprietario. Questo mutamento del possesso richiede, secondo la Cassazione, il compimento di uno o più atti estrinseci, dai quali sia possibile desumere la modificata relazione di fatto con la cosa detenuta, attraverso la negazione dell’altrui possesso e l’affermazione del proprio, il che non può avvenire con un semplice atto volitivo interno, ma deve estrinsecarsi in un fatto esterno che manifesti inequivocabilmente l’esercizio del possesso da pieno proprietario.  Al riguardo occorre sottolineare che la Cassazione ha individuato alcuni comportamenti dell’enfiteuta e/o del concedente che sono stati considerati di scarso rango ai fini della integrazione prima, e della prova poi, della sussistenza dell’interversione nel possesso. Tali comportamenti possono essere sintetizzati nei seguenti: mancata rinnovazione da parte del concedente di una ipoteca a garanzia dei canoni; interruzione nel pagamento dei canoni; mancata ricognizione della posizione del proprietario ex art. 969 c.c.(tale ultima ipotesi peraltro opinabile, in quanto attribuendosi alla ricognizione un valore meramente probatorio e non sostanziale di fatto si finisce per svuotare il tenore letterale della norma stessa).  Di maggiore interesse ai fini della possibilità di usucapire la pena proprietà appaiono le seguenti circostanze: a) edificazione di uno o più fabbricati sull’ex fondo rustico concesso in enfiteusi previo l’espletamento delle opportune pratiche edilizie; b) rilascio, da parte del Comune, all’enfiteuta, dichiaratosi proprietario, del titolo abilitativo edilizio, previa i pagamenti degli oneri concessori e dei contributi di urbanizzazione; c) il caso dell’originario enfiteuta che abbia trasferito ad altri per atto tra vivi o a causa di morte la piena proprietà del fondo senza fare alcuna menzione dei diritti in oggetto e garantendo l’immobile come libero da pesi.   Le condotte indicate fanno si che l’enfiteuta si ponga di fronte alla generalità dei consociati come il possessore uti dominus del fondo. Ed allora la cosa migliore sarebbe quella di ottenere da parte dell’ex enfiteuta una sentenza che accerti l’avvenuta usucapione. Deve però ammettersi, alla luce di un consolidato orientamento giurisprudenziale (fra le altre, da ultimo Cass. N. 2485/2007), l’opinione secondo la quale l’acquisto per usucapione opera ipso iure per effetto del solo possesso e del decorso del tempo, avendo la sentenza un valore meramente dichiarativo".



...(segue)....


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